Gli Chef, questi professionisti sconosciuti.

Gli Chef, questi professionisti sconosciuti. “Tossico, alcolista, e sempre sul limite dell’illegalità”
Ecco il ritratto di chi fa lo Chef, così come lo descrive l’autore in un (cosiddetto) romanzo, un (certo) chef di nome Leonardo Lucarelli. Giuro, con massimo rispetto, mai sentito prima.

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Nel leggere l’intervista a lui dedicata, pubblicata su Vanity fair, data la mia passione per la cucina e chi ci lavora, non posso esimermi nel recensire il tutto con alcune considerazioni personali, da opinionista quale sono, blogger ed esperta del mondo del Food, e della buona salute.
“Carne Trita, l’educazione di un cuoco”, questo il titolo. Pubblicato nientepopò di meno da un editore di qualità come Garzanti perché, lo Chef stesso afferma: «Non sono uno scrittore, ma mi è capitato di scrivere ‘qualche’ articolo. Qualche anno fa ne ho scritto uno che interessava me, che raccontava la verità nelle cucine, del lavoro nero, era un articolo di denuncia. Garzanti lo ha letto e mi ha proposto di scrivere un libro.”
Ecco. Semplice. E poi ci si chiede come fare… adesso è più chiaro.

Lui, che di ritorno dall’India, nasce come Chef “ invitando a casa gli amici (e cucinando i prodotti migliori rubati al supermercato il pomeriggio),fino alla cucine vere con i loro personaggi.”
Lo dice lui, non io. Beninteso.

Si parla anche di ben tre pagine di motivazioni per le quali le persone decidono di fare gli chef, e «perché gli chef sono tutti tossici, alcolisti, puttanieri e artisti», e perchè questo meraviglioso lavoro, “ ti trasforma in un sociopatico”.

E poi, “quelle trasmissioni dove mai si vede la realtà delle cucine”.
Si parla di chef «gonfi di cocaina di debiti e di ego» e di truffatori.: «Sì. Adesso c’è un esercito di nuove leve che arrivano dalle scuole, li conosco poco, ma tendo a pensare che possano finire anche loro così. E’ una possibilità concreta. Comunque metterei mio figlio in cucina».
Per lui la cucina, dice rappresentare due facce della stessa medaglia: “mi ha sempre messo nei casini e sempre tirato fuori. Le esperienze di droghe che ho fatto le ho fatte in cucina, ma nello stesso modo il lavoro e la voglia di fare un lavoro fatto bene mi ha sempre tenuto a galla”.
E poi alcune ‘chicche’ di consigli utili: «Non andare mai in un ristorante il cui nome è quello del proprietario, perché il proprietario impone le proprie regole in cucina ‘spesso'(spesso quanto?)senza conoscenza. Sconsiglio il menù del giorno e il brunch della domenica che sono modi per riutilizzare i rifiuti del giorno e della settimana. Lasciare perdere pure i piatti troppo narrati»
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Ecco, nella mia lunga esperienza professionale nella quale ho realizzato interviste, seguito iniziative di livello, organizzato show coking, partecipato a manifestazioni di enogastronomia di valore, vantando conoscenza diretta di Chef davvero bravi, seri, amanti del proprio lavoro, a cui dedicano fatica e formazione continua, sia titolari che direttori di cucina, né psicopatici, né tossici, tantomeno pieni di debiti e cocaina, e neppure sul limite dell’illegalità, forse qualcuno magari “puttaniere” ( ma vale pure per Le chef?) ma chi non lo è, facenti parte di Associazione di categoria nazionale, Ass. Cuochi toscani, Lady Chef e altro, mi sono imbattuta in figure così talmente diverse, e lontanissime da quelle descritte in questo articolo, libro al seguito, che sono qui, seriamente preoccupata a chiedermi, cosa davvero io abbia conosciuto.

Gettate la maschera! Chi siete davvero cari Chef!?

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