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Covid e Comunicazione. “Chi infetta Cosa”.

Covid e Comunicazione.  Il Covid è ‘infetto’, indubbiamente. Ma oltre a provocare danni alle persone fragili, più a rischio, fa ammalare anche la comunicazione e l’informazione.

Lo abbiamo ben visto, e spesso in questo ultimo anno: le Fake news, le cosiddette  “notizie tossiche”, o false che dir si voglia, sono sempre più numerose, soprattutto sui social network e nelle piattaforme di ‘Istant message’.

Il libro “#Opinione Immediata”, Pacini, di Benedetta Baldi, con cui oggi mi confronto sul tema, mette in luce quanto il ricorso a notizie false sia sempre esistito.

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Oggi, più che mai,  però, il fenomeno è dilagante, e ciò comporta effetti devastanti sulla società.

Su questo tema Benedetta Baldi, docente ed esperta in Comunicazione linguistica, ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Nazione il 19 maggio scorso (consultabile qui, sul sito de La Nazione ), incentrata proprio sui rischi di una comunicazione distorta. Le mie riflessioni riprendono alcune delle considerazioni che la stessa Benedetta Baldi ha formulato in merito alla comunicazione, nel contesto di ansia e di insicurezza legato all’epidemia da Coronavirus, riportate tra virgolette, stabilendo così una sorta di colloquio dislocato nel tempo.

Covid, Fake news, Comunicazione infetta.

Parliamone…

“Possiamo definire le Fake news, come un vero danno per tutti.  Ma ciò che mette in evidenza è il sintomo della crisi dell’universo cognitivo, delle credenze e dei valori condivisi di gruppi sociali. Una modalità che, come abbiamo visto anche in passato, riguardo tema dell’immigrazione o sulla questione dei vaccini, ed oggi, naturalmente, per questa situazione legata al Coronavirus, è volta a contrastare ciò che viene sentito come la struttura culturale, politica e scientifica sottesa al potere” (Benedetta Baldi).

Nel caso della pandemia, a mio avviso, queste Fake news, che spesso girano nel web o nei social, ma anche strumento di ‘acchiappa click’ o di maggiori vendite di quotidiani, vanno perfettamente a collocarsi in ciò che si può definire un clima di insicurezza e di paure globali e incalcolabili.

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“La paura modifica le condizioni di verità delle narrazioni generando una ricezione emotiva dei fatti e dei dati sulla quale agisce tutto ciò che chiamiamo post-verità o pseudo-verità, cioè la narrazione alternativa e ammiccante allo sforzo di liberarsi della fatica della conoscenza. Infodemia, si chiama.

Dall’inglese #infodemic, usato inizialmente nel 2003 da Rothkopf in un articolo sul Washington Post per riferirsi all’incontrollata comunicazione che imperversò sui media all’epoca della SARS, con effetti critici per le economie, la politica e le condizioni di sicurezza delle società. Questo effetto è stato moltiplicato dall’enorme potere dei nuovi media, all’interno di un processo comunicativo, istituzionale e mediatico che è stato a sua volta ansiogeno, orientato ad un controllo sociale percepibile.”(Benedetta Baldi)

Fonte: Il riformista

Fonte : Il Riformista

Ciò che per mesi ci ha accompagnato, ogni giorno con la rappresentazione di un nemico invisibile,  anche attraverso immagini terrifiche di bare in fila, ricoverati intubati, medici ed infermieri segnati in viso dai presidi obbligatori, e con i termini, appositamente studiati, come : trincea, soldati, guerra, tregua, hanno rafforzato dentro tutti il sentimento della paura e dell’insicurezza.

Una comunicazione che ha -volutamente- giocato sulla paura, e sul sospetto. Sull’incertezza del futuro, economico- lavorativo, e sociale, che ha già dato segni inequivocabili del cambiamento sociale che è in atto.

Una vera dicotomia sociale, tra chi si chiude in casa, e chi smentisce che tutto ciò sia pandemico, pericoloso.

Poi, c’è chi sta nel mezzo: chi legge, si informa, ragiona. E sta in quel lembo di terra che si chiama equilibrio. Che poi, è l’unica cosa che occorre.

Ma, in un’epoca in cui internet veicola ogni tipo di news, con velocità ma non con parimenti valore, ed in un contesto sociale attuale, dove anche l’ultimo degli ignoranti si erge a scienziato, come possiamo difenderci?

“C’è modo di informarsi. Di non fermarsi all’emozione, di pancia. Alcune piattaforme hanno cominciato ad applicare misure contro le Fake news ricorrendo a debunker, come Facebook, sospendendo account, come Twitter nel caso di del blog Zero Hedge, che aveva diffuso la post-notizia che il virus era stato programmato da un laboratorio cinese, a rinviare all’OMS per parole come ‘coronavirus’ (TikTok) o a dirigere gli utenti USA al sito Disease Control and Prevention (Twitter).

Esperti nel campo, come virologi, immunologi, epidemiologi, ogni giorno si sono espressi in TV e sulla stampa, nei talk show, e sui social con i loro pareri, ma anche con le loro diverse caratteristiche emotive e comportamentali, quindi, un susseguirsi di informazioni ma anche di differenze di giudizio, che hanno nettamente contribuito al grande senso di incertezza, esistente.” (Benedetta Baldi)

Sarebbe opinabile un atteggiamento più responsabile da parte della stampa, e dei media in generale, così come da parte dei politici, in merito al diffondersi delle notizie false e allarmanti. sarebbe migliore far uscire notizie reali, senza veicolare falsità solo per mero interesse politico o, nel caso di testate giornalistiche, interessi di altro tipo.

“Sappiamo bene come il “ Digital divide ed il  Knowledge gap” siano due condizioni  che racchiudono il concetto fondamentale per la comunicazione, che le persone non sono tutte uguali di fronte ai mezzi di diffusione.

Questo perchè la formazione culturale e l’educazione ricevuta portano, inevitabilmente, ad una singolare, soggettiva e diversa capacità di interpretare i contenuti espressi dai diversi mezzi di comunicazione. Oltre al fatto che,  il Digital divide, lo dice il termine stesso, separa chi può e sa accedere ai dispositivi digitali e chi non è in grado di farlo. Coloro  i quali non sanno comprendere, o ben  interpretare ciò che viene espresso nei media, vengono inevitabilmente indotti ad una lettura letterale, quindi inappropriata, e direttamente conseguente le loro personali implicazioni legate alla loro soggettiva esperienza esperienza (la egocentric bias), talvolta inadeguata e suggestionabile.” (Benedetta Baldi)

Come ricorderemo, al partire dall’inizio del Lockdown, sicuramente per sentirci più corali, vicini ed anche un po’ per combattere la paura, abbiamo visto certe reazioni, tipo…

“Sono nati gruppi spontanei a cantare sui balconi l’Inno di Mameli, oltre alle immagini di vari personaggi, da quello più famoso vip, al semplice cittadino, le bandiere esposte, ed i cartelli con su scritto: “Andrà tutto bene“.(Benedetta Baldi)

Immagini che rimarranno scolpite nella mente, come quelle del crollo delle Twin Tower, perchè sono punti di rottura con il passato. Ma al di là di ciò, serve recuperare il concetto di “buona” informazione.

Un’informazione fedele alla verità dei fatti, e basata su fonti certe.

Come può, altrimenti, un cittadino conoscere come stiano davvero le cose?

“Un cittadino deve necessariamente fare affidamento sulle sue conoscenze e competenze, perchè solo queste possono dargli modo, e capacità di orientarsi e di capire quando una notizia è vera o falsa.

Un’informazione fedele è sicuramente un obiettivo da perseguire ma difficilmente realizzabile. O meglio, esistono il Codice deontologico dei giornalisti e l’etica professionale, che entro certi limiti guidano l’attività giornalistica, ma sono le Fake news e l’Hate speech, a generare la “Non verità”, e non sono generalmente opera di giornalisti, ma di persone animate da interessi del tutto diversi da quelli della corretta divulgazione.

L’educazione sociale è il vero antidoto, insieme agli strumenti giuridici e tecnologici, per contrastare la disinformazione e la distorsione della realtà. È solo apprendendo, cioè attivando la ricca dotazione cognitiva che caratterizza gli esseri umani fin dalla nascita, che possiamo sviluppare conoscenze e abilità di comprensione che, da  sole, ci permettono di decodificare le esperienze e le rappresentazioni della realtà che ci vengono offerte dai media”. (Benedetta Baldi)

Giornalismo ed Informazione seria. Da un parte. Formazione culturale, Educazione e quindi Scuola. Dall’altra.

E quindi ritorno allo studio, alla riflessione aperta, al confronto, all’apprendimento, e con ciò, inevitabilmente all’aumento della capacità cognitiva che si è andata perdendo dietro al “6 politico“.  Ed agli esami di gruppo.

Torniamo ad Imparare.

Perchè Imparare significa Capire, e Decidere con la propria testa ciò che è giusto, o profondamente sbagliato.

Grazie Benedetta!

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