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  … Non è un paese per vecchi !

         

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         … Non è un paese per vecchi. !

No, decisamente non lo è. La società italiana possiede caratteristiche uniche e spesso dissonanti rispetto al suo sviluppo generale.

In particolare, tali dissonanze emergono nei settori economici, demografici, sociologici.

Sino agli anni immediatamente precedenti la II° guerra, e per tutta la durata della stessa, l’Italia è stata una società a carattere rurale, le cui radici culturali affondavano solidamente in questa realtà, con pochissime variazioni di ceto.

L’economia era concentrata nella sola parte settentrionale, così come pure i maggiori impianti imprenditoriali ed industriali.

Da un punto di vista culturale sino agli inizi degli anni ’50 il tasso di analfabetismo in Italia era mediamente del 21 % con percentuali  che superavano il 41% nel Sud.

Unitamente a queste particolarità, la dimensione demografica vedeva uno squilibrio inverso rispetto alle caratteristiche sopra menzionate : Il Sud vedeva il numero medio di componenti in circa 7 per famiglia, con almeno 3 figli e due anziani a carico.

Tali numeri erano sempre collegati all’aspetto proletario delle realtà agricole meridionali che avevano necessità di braccia per coltivare la terra e trarne da essa un sostentamento. Parimenti, la frequenza della  scuola, anche nel suo livello elementare. era appannaggio di quei gruppi sociali che non dipendevano direttamente dal lavoro agricolo. Tali caratteristiche subirono un radicale cambiamento alla fine del conflitto e agli inizi del ’50 con una accelerazione quasi esponenziale del livello di qualità di vita, per il considerevole afflusso di finanziamenti, risorse, beni tecnologici, seguiti al varo da parte degli USA del piano Marchal.     

Nel giro di due  decenni la migrazione interna Sud-Nord, in cerca di sistemazioni lavorative migliori, svuotarono le  campagne del meridione. Si calcola che 8 milioni di migranti, in massima parte braccianti agricoli, migrarono nel triangolo industriale del nord incrementandone le sue  capacità produttive del quasi 100%.

Contestualmente, il basso valore della Lira sul mercato internazionale, influenzò gli investimenti esteri, realizzando un considerevole aumento del livello medio di qualità di vita.  

L’analfabetismo fu combattuto con leggi ad hoc, la frequenza della scuola a livello elementare fu reso obbligatorio, anche la tipologia dell’immigrazione interna Sud-Nord non fu più appannaggio di poveri braccianti affamati, ma di persone con almeno un titolo di studio, a volte anche superiore alla media.

Tale ridda di cambiamenti e, la velocità con la quale questi si produssero, ebbero come effetti collaterali un cambiamento sociologico profondo nella società italiana. Le sue origini plurisecolari di carattere rurale furono bruscamente abbandonate, in cambio di una società industriale, a volte anche solo imprenditoriale, piccola o media, a volte nella evoluzione di artigiani che riuscirono a convertire la loro produzione da locale e circoscritta, a produzione larga, e con larga diffusione.

La famiglia media cambiò di conseguenza la sua costituzione. Un ancor presente  numero di figli consentì la gestione degli anziani a carico che, nella famiglia contadina  rappresentavano ancora un retaggio culturale, esperienziale, valoriale ed etico.

Nel nuovo modello familiare, per ancora un decennio o due, l’anziano fu tenuto e “gestito” all’interno del nucleo, data la possibilità di una “turnazione” di tale gestione a carico dei figli e delle loro famiglie, nelle quali, la figura dei nonni era ancora fonte di supporto  operativo e a volte finanziario. 

L’approssimarsi degli anni ‘80/90 ha prodotto un ulteriore e tragico cambiamento soprattutto per il drastico calo demografico, nonchè per l’ulteriore deterioramento dell’istituzione familiare ad opera di pseudoculture nate verso la fine degli anni ‘60/70, e proseguite poi per trascinamento inerziale dovuto una certa diffusa “apatia culturale” che ha cancellato i trascorsi sistemi valoriali, i sistemi di credenze, annullando quasi del tutto i confini di ruolo.

La nostra attuale società è praticamente l’opposto di quella esistente sino alla metà, e oltre, del secolo scorso.

La famiglia nucleare (la dove ancora esiste) è formata in larga misura da tre soggetti con un figlio unico, il tasso di separazione è prossimo al 35%, e la lunghezza di vita media si è allungata negli ultimi 50 anni di quasi 30 anni ! l

L’ anziano , o anche il “grande anziano”, risulta essere un nucleo familiare a sè, lontano dalla sua famiglia di origine che non può, o non vuole più ospitarlo, per una  evoluzione del concetto di “benessere” individuale e familiare, nel quale  non vi è più spazio nè per una coabitazione con il vecchio padre o madre, non definiti più come depositari di null’altro tranne che di preoccupazioni e limitazioni “alla libertà”. Parimenti le risorse e le leve politiche, non sono state per nulla lungimiranti, rendendosi totalmente incapaci di farsi carico di una popolazione geriatrica che ormai raggiunge  il 34% della popolazione complessiva.

Nell’attuale momento storico non esiste nessun Ente, struttura, ministero, sistema legislativo in grado di gestire questa grande area demografica nell’opulento mondo occidentale ove, la preoccupazione disallineante, ed allarmante, è quella di aumentare sempre più  la durata media della vita senza assolutamente avere un’ ottica sulla qualità della stessa, e sulla possibilità poi di gestire in modo “umano” le persone che si avviano verso il declino della loro esistenza.

Siamo divenuti una società dell’ IO lieve, centrata su un fuggevole presente, su una inconsistenza culturale, su una inesistente memoria storica, su una totale incapacità a immaginare un futuro il quale, senza un ricordo del passato, è destinato a ripetere fatalmente gli stessi errori amplificandoli.

Siamo divenuti una società che “guarda ai giovani” senza accorgersi che di “giovani” ce ne sono sempre meno, che le famiglie che dovrebbero metterli al mondo sono sempre più inesistenti, o di natura incerta. Ed i vecchi, beh, sono un peso, un problema irrisolto. Esistono luoghi di cura e ricovero protetto, ma con quali costi? E chi non può provvedere, avere risorse proprie, perchè dovrebbe pesare sul reddito dei propri figli? E ancora, perchè un anziano deve forzatamente invadere gli spazi già ben delineati di un altro nucleo familiare, creando, come oggi spesso accade, scompiglio?

Siete mai stati in una casa residenziale per anziani? Fatelo. Guardate i loro occhi, spauriti, slegati dal quotidiano, persi nei ricordi, ed in attesa di veder arrivare con una carezza i proprio cari. Magari una volta la settimana, o mai.

Questi e molti altri gli interrogativi, che se ci fermiamo tutti quanti a riflettere, fanno già parte di noi, del nostro prossimo futuro.

Perchè esiste anche una parola che si chiama dignità, quella di chi ormai vecchio, desidera rimanere più possibile libero e senza pesare su nessuno, ed avere, comunque quella sicurezza che occorre a chi si avvia verso la fine del proprio cammino. Ecco che occorrono strutture agevoli economicamente, utili a socializzare, e a non sentirsi un peso.

Potremmo affermare tra non molto che “questo non è un paese per giovani” come del resto non è certamente “un paese per vecchi” …     

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