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Il paradosso del progresso

di Giovanni Cozzolino– Sociologo e ricercatore scientifico

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Da sempre, ogni conquista tecnologica ha comportato un beneficio nell’evoluzione umana. Ma è anche vero che ogni conquista, determina, o ha determinato, un certo “costo sociale” una specie di “ danno” collaterale legato al balzo in avanti che tale progresso determina nella umana specie.

Di recente, però, questo costo, o danno collaterale, sembra essere di gran lunga più ampio dei benefici. Ci riferiamo alla marcia trionfale che ha aperto la strada alla diffusione dei social media e alla loro diffusione per così dire “epidemica” che ormai abbraccia storicamente tre generazioni.

Studi ultimi relativi all’influenza che questi strumenti hanno avuto e hanno sulla psiche, e sulla formazione delle capacità intellettive dei nostri ragazzi (adolescenti e preadolescenti) ha posto in luce alcune importanti realtà.

La ricerca, condotta nell’Università del Nord Carolina, ha evidenziato una sempre più forte tendenza da parte di ragazzi fruitori (con frequenza da 2 a 14 ore) dei social, di un bisogno di affermazione o consenso da parte di altri coetanei dialoganti sui vari canali mediali.

Solo in una ristretta percentuale queste relazioni si concretizzavano, poi, in una conoscenza “face to face”. Oltre a questo, una ancor crescente tendenza a cambiare velocemente opinione se spinti da una maggioranza, o da “Influencer” particolarmente in auge nel momento.

Una parimenti limitazione ad esprimere una analisi della comunicazione o della “notizia”, una sempre più marcata incapacità a determinare il fattore tempo nel raggiungimento di un dato obbiettivo (qualunque esso fosse) per la possibilità di giungere istantaneamente all’informazione, che resta comunque legata brevemente al contesto che ha generato un qualsiasi quesito.

Sostanzialmente vi è una rarefazione della capacità di detenere una conoscenza, in favore dell’informazione temporanea e superficiale. La velocità con la quale questi adolescenti, o anche solo bambini sotto i 12 anni, hanno di familiarizzare con questa sofisticata tecnologia a livello operativo, ha fatto si che molti osannassero le capacità intellettive delle ultime generazioni nel dominare questi mezzi.

Ahimè, la realtà è tutt’altra. Sarebbero loro ad essere dominati da una tecnologia che non conoscono, oltre ad essere strumento di una “discarica” di informazioni di vario tipo dagli annunci commerciali, alle mode del momento, a messaggi pseudo-politici, a ideologie emotive con poca o nessuna aderenza con la realtà empirica.

Parimenti una scimmia ammaestrata può imparare a dominare, ed utilizzare una macchina distributrice di frutta premendo una serie di tasti, anche un I-Pad può essere manovrato con la stessa facilità per farne scaturire un fugace benessere in un “like”.

La realtà empirica che scaturisce dalla ricerca (per altro incompleta) è che le ultime generazioni avrebbero in corso di atrofia la capacità immaginativa, e quella di definire una conoscenza sul lungo periodo. Oltre a ciò le aree del cervello particolarmente utilizzate durante la fruizione prolungata dei social sono quelle predisposte alla ricompensa e le aree prefrontali predisposte all’azione.

Ciò farebbe prevedere che, soprattutto negli adolescenti, la volontà di ricevere “rinforzi positivi” da parte di una platea virtuale, induca a ripetere per lungo tempo l’uso di questi mezzi, deducendone una soddisfazione leggera e superficiale, o al contrario, una senso di depressione anche essa superficiale.

Affermare tout court che i social media siano un danno più che un beneficio è arbitrario. Negativo è l’utilizzo di questo strumento in modo massivo, in dipendenza di esso, e soprattutto in una fascia di età nella quale la mente ha bisogno di elevarsi senza schemi preordinati e svilupparsi in modo armonico senza nessun tipo di dipendenza.

Gli interrogativi restano aperti, la ricerca dovrà ampliarsi, ma alcuni fattori sono evidenti : qualsiasi tecnologia deve portare vantaggi e pochissimi svantaggi, deve essere al servizio, e non generare dipendenza dal servizio che fornisce, deve liberare l’individuo da vincoli umani, non crearne altri.

Soprattutto non deve in nessun modo nascondere una velata, ma crescente, sottomissione ad un potere politico-economico che possa mimetizzarsi e celarsi nell’ombra di una tecnologia che proponga la finta libertà di poter comunicare un pensiero senza alcun confine né freno indipendentemente dalla qualità dello stesso.

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