Andrea Ruggeri: il suo #possibilitè del #MadeinItaly
L’appuntamento era a Chelsea Market, a Manhattan. Strano che due colleghi, italiani, si trovassero allo stesso tempo a New York per tracciare, con un cuore italiano, relazioni e geometrie utili all’Italia. Più che altro al #MadeinItaly
Strano, ma possibile. Ed è vero quanto si afferma: la Big Apple permette i sogni e offre opportunità.
Io, ho avuto quella di intervistare Andrea Ruggeri, sul tema caro ad entrambi : il Made in Italy.
La grande leva socio economica che davvero può generale la svolta del nostro Paese. Se lo si comprende appieno, però. E se si adottano strategie utili, non parole vacue.
E così, davanti ad un buon caffè italiano ( eh si!) in un crocevia del mondo… ecco Andrea Ruggeri, ex: Direttore Responsabile @ilriformista | Deputato Forza Italia | Avvocato | Giornalista | Fan dell’Italia, grato all’America | Politica e coraggio ( si legge su IG)
Grazie Andrea.
Quali sono a tuo avviso le caratteristiche distintive del “Made in Italy” che lo rendono unico nel mondo?
L’eleganza percepita come frutto di artigianalità’ di grande qualità e stile, a volte impreziosita da fantastiche scelte di design che consentono al Made in Italy di coniugare come nessuno altro sa fare al mondo tradizione e distinzione per innovazione. Tutta roba che all’estero ci invidiano e che dobbiamo essere consci potrà non solo resistere all’avvento dell’intelligenza artificiale, ma anche esserne esaltata.
Come l’artigianato italiano si è evoluto nel corso degli anni per soddisfare le esigenze dei mercati internazionali?
Gli italiani sono grandi dispenser di stile di vita: all’estero dell’Italia amano non solo lo stile, ma anche il modo in cui viviamo, abitudini comprese. Ma siamo anche dei grandi osservatori altrui, e lo si vede dalla scelta dei nuovi materiali e di nuove forme che -pensiamo a Ferrari, per fare un esempio comprensibile- hanno condotto il marchio italiano forse più iconico e famoso nel mondo a produrre un Suv stupendo. Una cosa impensabile anni fa, ma che e’ frutto italiano del saper solcare i mari della modernità, che e’ come un’onda: se la surfi, trai grandi opportunità per chi ha grandi capacità come noi. Se invece scegli di non farlo, rischi di annegarvi sotto.
Qual è il ruolo della tradizione e dell’innovazione nel mantenere la competitività del “Made in Italy”?
Competitività fa rima con artigianalità, che e’ arte infungibile e dunque da tutelare con un’istruzione ad hoc, produttività (da migliorare), e economicità: se in Italia produrre costasse un po’ meno, il Made in Italy potrebbe essere ancor più seduttivo e dunque ricco. Ricordiamoci che nel mondo di oggi, se si smette di mangiare, vestire, arredare o guidare italiano in Giappone o in Florida, saltano posti di lavoro qui in Italia. A quello che io definisco un movimento più che solo un’industria, cioè il Made in Italy, serve poi una sistematica pubblicità cui concorrano tutti gli attori possibili. Per questo serve che nel mondo si parli di Italia e se ne parli bene.
Per assistere la domanda di Italia e l’ecosistema italiano che quella domanda deve soddisfare.
Quali sfide affronta o dovrà affrontare l’industria italiana nel mantenere la sua reputazione di qualità e prestigio?
Anzitutto quella prossima dell’intelligenza artificiale. I francesi lo hanno capito. I produttori maggiori sono americani. Chi li copia, cioè i cinesi, ne produrranno una loro ma sempre in inglese. Noi non possiamo limitarci a esserne fruitori: dobbiamo produrla anche noi, per farne la vetrina dell’italianità’ intesa nel senso più largo possibile del termine, valoriale, tradizionale ma anche commerciale, comprendendo con ciò il prodotto fantastico delle nostre imprese.
Come si può promuovere secondo un tuo parere il “Made in Italy” sul mercato internazionale, in particolare negli Stati Uniti, Paese che ben conosci ?
Gli Stati uniti hanno ammirazione quasi affascinata nei nostri confronti. Sono una nazione il cui gusto medio e’ costantemente in crescita da decenni, come la propensione a spendere degli americani. Bisogna esserci, imporre il proprio modello, perche qui si puo’ fare alla grande: in questo senso mi attendo che l’Italia prema sull’Europa per riprendere in mano il trattato di libero scambio con Stati Uniti e Canada, per dare un mercato di oltre mezzo miliardo di persone ricche alle imprese italiane e ai loro dipendenti. Dopo di che, occorre che le imprese italiane crescano di dimensione. I francesi lo hanno capito e costruiscono realtà grosse come cartelli e dunque competitive col mondo intero, con gioia e ricchezza di chi ci lavora e degli azionisti, che sono risparmiatori-investitori. Noi ancora fatichiamo. Basta catenaccio, abbiamo le capacita’ di giocare con tre punte. Facciamolo.
Quali sono le opportunità di collaborazione tra imprese italiane e straniere per promuovere il “Made in Italy”?
Ce ne sono migliaia. Quando vado a vedere case anche assai belle negli Stati Uniti mi rendo conto che la loro manodopera ad esempio e’ funzionale ma nei dettagli abbastanza dozzinale. Ecco, alcune imprese edilizie dovrebbero esportare la nostra cura e il nostro maniacale gusto per i dettagli anche in quel settore. L’America e’ fantastica perché e’ un paese facile, con poche regole assai chiare, e che premia il merito.
Per ultimo: Quali sono le prospettive future per il “Made in Italy” considerando le tendenze globali e l’evoluzione dei mercati?
Le prospettive sono potenzialmente ottime perché grazie alla globalizzazione il futuro e’ dei marchi. E l’Italia e’ un grandissimo marchio. Che come tutti i marchi deve però alimentare il suo mito presso miliardi di consumatori. Anche a questo deve pensare la politica: dall’esclusione della Nazionale di calcio dai Mondiali, a fatti di cronaca o rinomate carenze di servizi, tutto fa notizia nel mondo e va curato. Se lo si farà, saremo ricchi. Altrimenti, avremo sprecato una grandissima opportunità. Ma sarebbe imperdonabile.