Fatima: una storia di adozione, amore e speranza
Fatima Sarnicola è una ragazza adottata. La sua storia da tempo viene da lei stessa narrata attraverso i suoi canali social con l’intento di alzare un velo e rompere i pregiudizi sul mondo dell’adozione.
Ha vissuto per anni nella solitudine di una casa di Skaciai, in Lituania. Trascurata dalla madre, è stata portata in un istituto per bambini orfani all’età di 2 anni per poi essere adottata da due genitori italiani all’età di 6.
Ora vi spieghiamo perché non esistono famiglie di serie B, ma esistono famiglie e amore.
Attraverso le domande lei ci racconta la sua vita, ripercorrendo i tristi momenti trascorsi ricordando com’era la sua vita in Lituania. Ma parla anche di bellezza. di amore e speranza. E di politiche di adozione da ricostruire, da supportare.
Ho intrecciato l’anima di Fatima attraverso i canali che usa, ne sono rimasta colpita per la sua semplicità e autenticità nel parlare della sua stoia al mondo. le ho chiesto di parlarne qui, nel mio mondo di ” penna”, e la ringrazio per averci aperto il suo cuore.
Un po’ di te: racconta brevemente la tua storia ( se vuoi) e come la comunichi al mondo.
“Della donna che mi ha messo al mondo ricordo ancora molte cose. La cosa che ricordo maggiormente è che non si curava affatto di me. A volte capitava che non mangiassi per giorni e che si occupassero di me i vicini di casa. So che è strano che io conservi immagini così lucide di quei momenti, eppure sono ancora tutte lì. Mi sembra di averle tatuate addosso…” racconta Fatima in una recente intervista.
Mi chiamo Fatima, un nome che è stato scelto su mia richiesta dalla mia famiglia adottiva dopo l’adozione. Sono originaria della Lituania, precisamente di Kursenai, una piccola cittadina rurale. Sono nata nel 1998 e il mio nome di nascita era Milvyde, un nome che ho portato per i primi otto anni della mia vita, prima che la mia esistenza subisse una svolta decisiva.
Spesso affermo di aver vissuto tre vite: la prima con la mia madre biologica fino all’età di due anni, la seconda in orfanotrofio fino ai sette, e la terza, che è la mia vita attuale, con la mia famiglia adottiva. La mia storia inizia con un abbandono all’età di due anni, dovuto al fatto che la mia madre biologica non aveva le risorse necessarie per crescermi. In quel periodo, lei si trovò costretta a rinunciare sia a me che alla mia sorella biologica, nata nel 2004.
Ho capito col tempo che l’abbandono non riguardava solo noi: prima di me, ci sono stati altri abbandoni nella nostra famiglia, e purtroppo, anche dopo la mia adozione. La decisione di mia madre di rinunciare a me è stata definitiva dopo circa un mese. Il momento cruciale fu quando una vicina di casa, con cui passavo del tempo in assenza di mia madre, segnalò la mia situazione alle autorità. Fu allora che mia madre decise di non riportarmi più a casa e acconsentì a lasciarmi in orfanotrofio, dando il suo assenso per l’adozione.
Solo con il passare degli anni ho compreso a pieno il significato del suo gesto. Oggi, a distanza di tempo, la ringrazio, perché quella scelta, per quanto dolorosa, mi ha aperto la porta all’amore e alla possibilità di costruire legami familiari solidi con la mia nuova famiglia. Inoltre, il fatto che sono stata adottata insieme alla mia sorellina, conosciuta solo nel 2004, è stato uno dei doni più preziosi che i miei genitori adottivi potessero farmi. Molti credono che adottare due bambini sia particolarmente complesso dal punto di vista emotivo, e in effetti può esserlo. Tuttavia, io credo fermamente che, una volta che si accoglie un figlio, l’amore con cui lo si cresce non è condizionato dall’età o dalle difficoltà iniziali. Per me, l’adozione è un atto d’amore che va ben oltre questi fattori, e ritengo che ogni bambino, indipendentemente dall’età, meriti la stessa quantità di affetto e dedizione. Ho vissuto la condizione di abbandono fino all’età di sette anni e mezzo, durante i quali ho trascorso del tempo in due diversi orfanotrofi in Lituania. I ricordi di quel periodo sono ancora vividi, anche a distanza di molti anni. Sebbene siano trascorsi ormai 18 anni dalla mia adozione, quando ripenso alla mia storia, sembra che gli eventi siano accaduti appena ieri, tanto sono nitidi i dettagli che riesco a richiamare alla mente. Esiste una credenza comune secondo cui i bambini non possano formare ricordi nei primi anni di vita, specialmente nei primi mesi. Anche se i bambini piccoli possono non avere una memoria narrativa come gli adulti, sono comunque in grado di immagazzinare ricordi sensoriali ed emotivi molto intensi. Nel mio caso, i ricordi legati all’orfanotrofio e al senso di abbandono sono particolarmente radicati, poiché la mente dei bambini tende a conservare tracce di esperienze emotivamente significative. L’abbandono e l’insicurezza, infatti, sono esperienze traumatiche che possono lasciare impronte profonde nello sviluppo psicologico ed emotivo. Anche se un bambino non è in grado di comprendere pienamente quello che gli sta accadendo, il cervello immagazzina queste esperienze e può riportarle alla luce in forme diverse durante la crescita. In questo modo, i bambini, pur non avendo una memoria narrativa tradizionale, sviluppano una memoria “implicita” o “emotiva”, che è altrettanto potente e persistente. Questo spiega perché, nonostante il tempo passato, io ricordi con tale intensità il periodo trascorso in orfanotrofio, come se fosse accaduto di recente e i ricordi sono tanti. Sono stata vittima di bullismo per anni, sia da parte dei bambini più grandi all’interno dell’orfanotrofio, sia dalle tutrici che avrebbero dovuto prendersi cura di me ma anche dai bambini non orfani che frequentavano la mia stessa scuola. Questi episodi hanno segnato profondamente la mia infanzia, aggiungendo ulteriore dolore alla mia già delicata situazione. Oltre al bullismo, ho subito anche una violenza fisica all’età di 5 anni, un evento che ha avuto un impatto devastante su di me. Questa violenza, purtroppo, è stata causata dai miei parenti biologici, che venivano a prendermi dall’orfanotrofio per trascorrere del tempo con me, apparentemente per farmi sentire meno sola e meno abbandonata. Tuttavia, dopo quell’episodio, il rapporto con loro è cambiato drasticamente. Quello che inizialmente sembrava un gesto di affetto e vicinanza, si è trasformato in un ricordo doloroso che ha compromesso per sempre il mio legame con loro. A sette anni e mezzo, la mia vita ha preso una nuova direzione quando ho conosciuto la mia famiglia adottiva. Con loro ho potuto vivere per la prima volta esperienze che, fino a quel momento, mi erano sconosciute. Uno dei ricordi più belli è stato festeggiare il mio primo compleanno. Non sapevo nemmeno quanti anni avessi esattamente, e ricordo che è stata la prima volta in cui ho potuto sentirmi parte di una famiglia che celebrava me, la mia vita. Il numero 8, che rappresentava i miei anni, è diventato da quel momento il mio numero preferito, un simbolo di rinascita e di inizio di una nuova fase della mia esistenza.
Che emozioni hai provato quando hai saputo della tua adozione?
Ricordo perfettamente quel giorno. Ero nel cortile dell’orfanotrofio quando una delle tutrici si avvicinò a me per dirmi che una famiglia italiana era interessata a conoscermi. La notizia, però, non mi colpì particolarmente, anzi, non ci ho creduto affatto. Avevo già vissuto un’esperienza simile con una famiglia francese che, dopo aver mostrato interesse, alla fine non mi adottò. Quel rifiuto mi aveva segnato profondamente, e la paura che la storia potesse ripetersi era forte. Dentro di me, mi ero quasi convinta che nessuno mi avrebbe mai scelta davvero, e per questo ho affrontato quella nuova possibilità con grande scetticismo. Tuttavia, quel dubbio cominciò a svanire quando incontrai la famiglia italiana per la prima volta, nell’agosto del 2006. Il loro arrivo cambiò tutto. Nonostante la paura e l’incertezza, qualcosa di diverso accadde in me fin dal primo momento. Ricordo che ho percepito subito un legame speciale, una sensazione di calore e accoglienza che non avevo mai provato prima. La prima cosa che mi colpì furono gli occhi di quella che poi sarebbe diventata mia madre. C’era qualcosa di rassicurante e amorevole nel suo sguardo, come se mi conoscesse già, come se in quei pochi istanti tutto il dolore e l’insicurezza che avevo provato fino ad allora potessero svanire. Da quel momento, cominciai a credere che forse, questa volta, le cose sarebbero andate diversamente. Per la prima volta, l’idea di appartenere a una famiglia non sembrava più così lontana. Gli occhi di mia madre rappresentavano per me una promessa di affetto e sicurezza, ed è stato proprio in quel momento che ho capito che, finalmente, avrei potuto avere una casa, un futuro, delle persone che mi amavano davvero e soprattutto mia sorella Anna con me. Siamo diventati una famiglia dal primo sguardo.
Hai mai sentito il desiderio di conoscere i tuoi genitori biologici? Perché?
La mia mamma biologica è una figura che ho conosciuto personalmente, avendo vissuto con lei fino all’età di due anni. Nonostante il tempo passato, ricordo molti dettagli di lei e conservo ancora l’unica fotografia che ci fu scattata insieme, quando ero già nell’orfanotrofio. Dietro quella foto, c’è una breve annotazione che riporta il giorno della sua ultima visita, un mese dopo il mio ingresso in orfanotrofio, e il momento in cui prese la decisione di rinunciare a me. Anche se crescendo ho potuto comprendere il peso e la difficoltà della sua scelta, ho notato che nel mio sguardo non c’è traccia di lei. Non le somiglio, né fisicamente né, forse, emotivamente. Invece, con il passare degli anni, mi sono resa conto di quanto assomiglio alla mia mamma adottiva, sia nei tratti che nel carattere. È una somiglianza che va oltre l’aspetto fisico. È il risultato del legame che abbiamo costruito giorno dopo giorno, fatto di amore, condivisione e complicità. Per quanto riguarda il mio papà biologico, la situazione è diversa. Non l’ho mai conosciuto. So che ha origini finlandesi e conosco il suo nome e cognome, ma non ho mai avuto l’opportunità di incontrarlo di persona.
Ammetto di averlo cercato sui social network, spinta dalla curiosità di sapere chi fosse e se ci fosse ancora un legame da scoprire, ma non sono mai riuscita a trovarlo. Tuttavia, quando mi viene chiesto chi è il mio papà, non penso a lui. Penso al mio papà adottivo. È lui che mi ha cresciuta, che mi ha insegnato cosa significa essere amata incondizionatamente. È lui che mi ha protetto, che mi è stato vicino nei momenti difficili, che ha preso su di sé il ruolo di guida e figura paterna, senza mai farmi sentire la mancanza di altro.
Per me, non è il legame di sangue a determinare chi è un padre, ma l’amore, la dedizione e la cura che si mettono nel crescere un figlio. Nonostante ciò, non rinnego le mie radici né le persone che ne fanno parte. Riconosco che anche il mio passato, seppur doloroso, è parte di chi sono oggi. Tuttavia, ho fatto la scelta consapevole di lasciare che sia il destino a decidere se e quando incontrare il mio papà biologico. Se un giorno accadrà, sarò pronta ad accoglierlo, ma lo farò insieme alla mia famiglia adottiva, perché è con loro che ho costruito la mia identità e il mio cammino. Spesso dico che è importante non perdersi nel passato al punto da dimenticare ciò che si ha nel presente. Il presente è ciò che conta, e certi viaggi, specialmente quelli emotivi, non si affrontano mai da soli. Con l’amore e il sostegno della mia famiglia vicino, tutto diventa più facile da gestire, e le ferite del passato fanno meno male.
Come descriveresti il rapporto con la tua famiglia adottiva?
Descriverei il rapporto con la mia famiglia adottiva con una sola parola: forte. Fin dal primo momento in cui siamo entrati nella vita l’uno dell’altro, è nato un legame solido e autentico. Non è stato un percorso facile per loro. Da un giorno all’altro, sono diventati genitori di due bambine, ma nonostante le difficoltà, hanno saputo accogliermi con tutto l’amore e la dedizione possibili.
Mi sono sempre sentita amata, ogni singolo giorno, e questo mi ha permesso di crescere con la sicurezza di avere un rifugio stabile e un punto di riferimento costante. Il loro amore è stato particolarmente prezioso nei momenti più bui. Quando ho dovuto fare i conti con i ricordi dolorosi del mio passato, loro ci sono sempre stati, pronti a sostenermi, ad ascoltarmi e a incoraggiarmi ad affrontare ciò che mi feriva. Non hanno mai giudicato le mie paure o i miei dubbi, ma mi hanno aiutato a dare voce alle mie esperienze e a trovare un modo per elaborarle e guarire. Questo è stato un aspetto fondamentale del nostro rapporto. Il dialogo aperto e la comprensione reciproca ci ha legati. Raccontare a loro ogni aspetto del mio passato mi ha permesso di trasformare il dolore in una forza, e grazie a loro ho imparato a vedere la vita per quella che è ovvero un dono meraviglioso. Mi hanno insegnato che anche dalle esperienze più difficili può nascere qualcosa di positivo, e che l’amore è il motore che ci permette di superare ogni ostacolo. Il nostro rapporto va oltre il legame adottivo.
Ritieni che l’essere stata adottata abbia influenzato il tuo senso di identità? Se sì, come?
Sì, l’essere stata adottata ha sicuramente influenzato il mio senso di identità, ma in modi che considero arricchenti. L’adozione mi ha dato una prospettiva unica su chi sono, permettendomi di esplorare e accettare più dimensioni di me stessa. Da un lato, c’è la mia origine biologica, il mio legame con la Lituania e la mia storia passata, che rimangono una parte importante del mio percorso. Dall’altro, c’è la mia vita con la mia famiglia adottiva, che mi ha permesso di crescere e di svilupparmi in un ambiente pieno di amore e sostegno. Avere due radici mi ha insegnato che l’identità non è mai statica o monolitica, ma è un insieme di esperienze, legami e scelte. L’adozione mi ha permesso di capire che non è il sangue a definire chi siamo, ma l’amore, l’appartenenza e le relazioni che costruiamo. Ho imparato a convivere con entrambe le parti della mia storia: quella legata alle mie origini e quella che ho costruito con la mia famiglia adottiva. Queste due dimensioni non si escludono, ma si completano e arricchiscono la mia visione di me stessa. Certo, ci sono stati momenti di incertezza, momenti in cui mi chiedevo quale fosse il mio posto, ma attraverso questi dubbi ho capito che la mia identità non è legata esclusivamente a dove vengo o a chi mi ha dato la vita. È legata a chi sono diventata e all’amore, la chiave di tutto. L’adozione ha plasmato questa consapevolezza, dandomi la forza di accettare il mio passato e, allo stesso tempo, di abbracciare il mio presente e il mio futuro con una visione positiva e aperta.
Hai mai sentito o vissuto situazioni di pregiudizio a causa della tua adozione?
Sì, ho vissuto situazioni di pregiudizio sia a scuola che al di fuori, soprattutto quando ho iniziato a condividere la mia storia sui social. A scuola, alcuni compagni facevano commenti poco sensibili, sottolineando la mia diversità rispetto agli altri, come se essere adottata fosse un motivo di inferiorità o un segno di “mancanza” rispetto a chi è cresciuto con i propri genitori biologici. Anche se spesso erano battute, quelle parole lasciavano il segno e mi facevano sentire diversa in modo negativo. Al di fuori della scuola, il pregiudizio si è manifestato in modi più sottili, specialmente sui social, dove ho scelto di raccontare apertamente la mia esperienza di adozione. Molti hanno mostrato sostegno, ma ci sono stati anche commenti che rivelavano un giudizio implicito. Alcuni sembravano vedere l’adozione come una sorta di “scelta di ripiego” o insinuavano che la mia storia fosse tragica solo perché non sono cresciuta con la mia famiglia biologica. Questi atteggiamenti mi hanno fatto capire quanto poco si conosca realmente sull’adozione e quanto pregiudizio esista ancora nei confronti di chi ha vissuto questa esperienza. Queste situazioni, però, mi hanno reso ancora più determinata a condividere la mia storia e a combattere i pregiudizi. Credo che raccontare il mio percorso possa aiutare a sensibilizzare le persone e a mostrare che l’adozione non è un limite, ma una diversa forma di amore e appartenenza. Non si è meno “completi” o “fortunati” perché si è stati adottati. Al contrario, l’adozione può essere una seconda opportunità di amore, crescita e felicità, come lo è stata per me.
Come pensi che l’adozione abbia influito sulla tua crescita e sul tuo sviluppo personale?
L’esperienza di abbandono e successiva adozione mi ha insegnato a sviluppare una notevole resilienza. Crescere in un ambiente caratterizzato da instabilità e cambiamenti mi ha forzato ad adattarmi rapidamente e a trovare modi per affrontare e superare le difficoltà. Questa capacità di affrontare le sfide con determinazione e adattabilità è diventata una delle mie risorse più preziose nella vita. Ogni ostacolo che ho superato, dalle difficoltà iniziali in orfanotrofio fino alle sfide quotidiane della vita, ha contribuito a forgiare una personalità capace di perseverare e di affrontare le avversità con una prospettiva positiva. L’adozione invece mi ha offerto l’opportunità di riscrivere la mia storia personale. Prima dell’adozione, la mia identità era legata a esperienze di instabilità e abbandono, ma con l’arrivo nella mia famiglia adottiva, ho trovato un nuovo contesto che mi ha permesso di ricostruire la mia identità su basi di amore e sicurezza. Questo processo di ristrutturazione ha avuto un impatto profondo sulla mia autostima e sulla mia visione di me stessa. Sono cresciuta sentendomi accettata e amata, il che mi ha permesso di esplorare i miei talenti e i miei interessi con fiducia. Ha arricchito la mia empatia e la mia comprensione verso gli altri. Vivere un’esperienza di separazione e ritrovamento mi ha sensibilizzata alle difficoltà e alle lotte degli altri. Ho imparato a non giudicare superficialmente e a riconoscere il valore di ogni percorso individuale. Questo mi ha aiutata a sviluppare una profonda capacità di ascolto e un senso di solidarietà verso coloro che affrontano situazioni simili. Ho anche imparato a valorizzare le relazioni umane e l’importanza del legame familiare in modo più profondo. La mia famiglia adottiva mi ha dimostrato che il legame affettivo non è determinato solo dal sangue, ma dalla qualità delle relazioni e dall’impegno reciproco. Questo mi ha insegnato a coltivare e a curare le relazioni significative nella mia vita, e a riconoscere il valore dell’amore e della connessione autentica.
Cosa vorresti dire ad altre persone che sono state adottate o che stanno per esserlo?
Vorrei dire che il vostro valore e la vostra forza sono immensi, e la vostra storia è unica e preziosa. L’adozione può sembrare un percorso difficile e incerto, ma vi offre anche l’opportunità di scoprire quanto può essere grande l’amore che si può ricevere e dare. In questo viaggio, potreste incontrare momenti di dubbio e difficoltà, ma ricordate che non siete soli. Ogni sfida che affrontate è parte di un percorso che vi sta formando scoprire chi siete veramente. L’adozione non definisce chi siete in modo negativo; al contrario, è una parte del vostro viaggio che vi dà una prospettiva unica e una resilienza straordinaria. Tenete a mente che la vostra famiglia adottiva vi ha scelto e vi ha accolto con amore, e questo amore è il vostro rifugio e la vostra forza. Ogni giorno è un’opportunità per costruire legami e per abbracciare la vostra storia con orgoglio. Non dimenticate mai che, come scrisse Maya Angelou, “Non puoi controllare tutti gli eventi che ti accadono, ma puoi decidere di non essere ridotto da essi.” La vostra storia, con tutte le sue sfumature, è una testimonianza di resilienza e di speranza. E per chi sta ancora aspettando, chiedo di rimanere forti. Il sole esiste per tutti.
Pensi che la società comprenda adeguatamente il tema dell’adozione e le emozioni che una persona adottata può provare?
Purtroppo la risposta è no. La realtà dell’adozione è spesso vista attraverso una lente superficiale, che non riflette le complessità e le sfumature di questa esperienza. Le leggi e le politiche relative all’adozione possono influenzare significativamente il modo in cui viene percepita. In molte giurisdizioni, le normative sono spesso orientate a semplificare il processo e a garantire il bene dei bambini, ma non sempre prendono in considerazione il supporto emotivo continuo necessario per le famiglie adottive e per i bambini stessi. Questo può contribuire a una visione riduttiva delle sfide che le persone adottate affrontano, come la ricerca delle proprie radici e l’elaborazione del proprio passato. Inoltre, si è assistito a un calo nelle domande di adozione in molti paesi, il che potrebbe riflettere una mancanza di consapevolezza e sensibilità verso il tema. Questo calo può essere legato alla paura di affrontare le complessità legate all’adozione o alla percezione di essere non adeguatamente preparati a gestire le emozioni e le sfide associate. Anche nelle scuole e nelle istituzioni educative, il tema dell’adozione riceve scarsa attenzione. La mancanza di sensibilizzazione e di educazione riguardo alle esperienze delle persone adottate può perpetuare incomprensioni e stereotipi. Per migliorare la comprensione sociale dell’adozione, è fondamentale promuovere un dialogo aperto e informato, includere maggiormente l’adozione nei programmi educativi e sensibilizzare le persone sulle reali esperienze emotive di chi è adottato. Solo attraverso una maggiore consapevolezza e una comprensione più profonda possiamo sperare di affrontare le sfide in modo più empatico e personalmente, nel mio attivismo, abbraccio moltissimo l’educazione all’adozione.
Se potessi cambiare qualcosa nel modo in cui l’adozione viene gestita o raccontata, cosa cambieresti?
Preferisco i fatti alle parole. Ho in mente alcune idee concrete per migliorare la gestione e la percezione dell’adozione e spero presto di avviarle attraverso iniziative pratiche e collaborazioni. Credo che le azioni parlino più delle parole e, quando sarà il momento giusto, condividerò con entusiasmo i miei progetti e i miei interventi.
La scelta di comunicare attraverso i social hanno l’obbiettivo di far conoscere questo tuo mondo e informare di ogni aspetto. Giusto?
Sì, esattamente. Utilizzare i social media mi permette di condividere la mia esperienza e di far conoscere le diverse sfaccettature dell’adozione. L’obiettivo è informare e sensibilizzare il pubblico su temi spesso poco discussi, offrendo una visione più completa e autentica della vita delle persone adottate. Attraverso i social, spero di aprire un dialogo più ampio e di contribuire a una maggiore comprensione e supporto. Non è un caso che, oltre alla condivisione della mia storia, l’anno scorso ho avviato due gruppi Telegram dedicati rispettivamente ai ragazzi adottati e ai genitori adottivi. Questi gruppi continuano a offrire sostegno e opportunità di confronto, creando uno spazio sicuro per condividere esperienze e consigli. Inoltre, ho fondato AdoptLife, ovvero il primo giornale italiano dedicato all’adozione e all’affido insieme a un team di professionisti per fornire informazioni accurate e aggiornate. Questi sforzi sono pensati per ampliare la conversazione sull’adozione e offrire risorse concrete a chi ne ha bisogno. Spero che la mia esperienza e i progetti che ho intrapreso possano fare la differenza e contribuire a una maggiore comprensione e supporto per tutti coloro che attraverso la condivisione e l’informazione possiamo promuovere un vivono l’adozione. Come disse Nelson Mandela, “L’educazione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo.” Credo fermamente che attraverso la comunicazione e la formazione si possa arrivare ad un cambiamento positivo e duraturo. Per me è una missione.
Grazie Fatima!