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Sarà questo il futuro del nostro vino?

Sarà  questo il futuro del nostro vino?

Cos’è questa storia del ” vino dealcolizzato” , che sta facendo scalpore, e creando non poco sdegno tra il mondo dei produttori di vino e i consumatori, amanti della qualità ?

Ne ho parlato sulla stampa,  e ne parlo qui.

La storia

Lo scorso giugno la Commissione Europea ha presentato la sua proposta di modifica del regolamento n. 1308/2013, che disciplina la Pac.

All’articolo 193, fanno la loro comparsa proprio i termini “vino dealcolizzato” (con tasso alcolometrico non superiore a 0,5% vol.) e “vino parzialmente dealcolizzato” (con tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e 9%).

In Italia, bene saperlo, un prodotto per essere chiamato vino deve presentare una gradazione di almeno 9 gradi (ogni denominazione, poi, fa riferimento al disciplinare specifico), con qualche eccezione legata a denominazioni particolari.

Ed un vino, è tale perchè contiene tutte le caratteristiche di un disciplinare ben costruito.

Il nodo della questione è questo:  il vino dealcolato è davvero una nuova opportunità da cogliere o un rischio per il settore?

Perchè, alcuni Paesi, già lo producono e sembra incontri il piacere di alcuni consumatori: giovani e consumatori islamici. Ciò crea, indubbiamente interesse economico, che però mette in discussione tutto il settore enologico. 

Il rischio vero, semmai, è capire se questi prodotti, che non devono assolutamente venir denominati Vino nè avere marchi Dop e IGT,  ma devono venir inseriti nell’industria alimentare e non in quella vitivinicola, possono diventare effettivamente concorrenti del vino.

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Ecco perchè arriva l’interesse di non perdere questa opportunità economica. 

Il vino dealcolato è un ossimoro che informa e disinforma.

Se è vino, è alcolico. Sarebbe più corretto parlare di bevanda ottenuta da uve. Cosa ben diversa.

Il termine “vino”  presuppone tutta una serie di vincoli, condizionamenti ed eredità produttive e culturali, dove la gradazione alcolica dipende, prima di tutto, dal territorio e dalla vendemmia, ed anche dalla conservazione.

Allungare il prodotto, aprendo il ‘rubinetto’ , e decidendo così la gradazione che si vuole raggiungere è tutta altra storia.

Se il nome, come vero, ha una sua importanza, ritengo che un prodotto così manipolato non possa chiamarsi con tale nome.

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Il vino è un’altra cosa: è un prodotto agricolo, che racconta una storia, un  territorio.

Dealcolizzare significa fare un vino a ricetta, che nulla ha a che fare con le pratiche agricole. 

C’è già chi li produce: Bosca e Iris Vigneti,  ma anche una delle realtà più grandi dell’area del Conegliano-Valdobbiadene, Astoria Vini: 40 ettari propri, 80 conferitori e 50 milioni di fatturato.

L’azienda dei fratelli Polegato nel 2010, ha creato il suo primo spumante a bassa gradazione, 9.5 Cold Wine (poco più di 9 grandi).

Ovviamente, non si tratta di un Prosecco Doc, ma di uno spumante generico che, negli anni scorsi, ha ricevuto anche il premio del concorso enologico internazionale del Vinitaly. Esiste la versione rosè ed un primo (al momento unico) vino completamente senz’alcol (o meglio succo d’uva spumantizzato): Zerotondo.

“Non è un vino dealcolato” ci dicono Paolo e Giorgio Polegato “bensì un mosto che non viene fatto fermentare e a cui viene aggiunta anidride carbonica. L’idea è nata proprio durante un corso di degustazione realizzato con la comunità araba di Treviso, quando abbiamo notato un grande interesse anche tra chi non poteva bere”.

La proposta

Creare una bevanda a base di uva, analcolica o con bassa gradazione che si possa commercializzare.

Sarà questo il futuro del nostro vino? Chissà.

Io dico : Giù le mani dal nostro bellissimo vino “Made in Italy”!

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